domenica 14 luglio 2019

Wilbur Smith - Gli Eredi dell'Eden

ora voglio proporvi due passaggi del libro Gli Eredi dell'Eden dello scrittore Wilbur Smith. il primo passaggio è solo una minaccia, ma tanto basta a far immaginare che potrebbe essere qualcosa di più.


“Possiamo provare l’auto adesso, papà?”
Mark si precipitò ad aprire la portiera posteriore per farla sedere, ma la ragazza gli annunciò: “Guido io”, e attese che lui ripetesse l’operazione con la portiera corrispondente al posto di guida.
“Quello è il pulsante dell’accensione”, le spiegò Mark.
“Grazie, lo so. Si sieda dietro per favore.”
Guidava come un uomo, veloce e sicura. Stringeva le curve e usava le marce per frenare, facendo il “punta-tacco” con piedi che parevano danzare sui pedali e sposando la leva del cambio con rapidità e decisione.
Accanto a lei sedeva il generale. Visto da dietro, con la schiena eretta, sembrava molto più giovane.
“Vai troppo veloce”, ruggì, attenuando il tono feroce con un sorriso da innamorato.
“E tu sei un vecchio brontolone”, ribatté la ragazza, scoppiando di nuovo a ridere. L’eco argentina della sua risata sembrava un canto.
“Non ti ho sculacciata abbastanza quando eri piccola.”
“Bè, ora è troppo tardi”, replicò lei, sfiorandogli la guancia con la mano libera.
“Non ne sarei tanto sicura, se fossi in te”.



nel secondo passaggio invece vediamo che le parole di poco prima non erano solo minacce vuote, ma avevano un chiaro tono di avviso. quindi gustiamoci la scena.


Si era spaventata, come le capitava sempre quando lui si arrabbiava, ma senza preoccuparsi eccessivamente. Erano passati quasi dieci anni dall'ultima volta che aveva alzato le mani su di lei. “Una vera signora rispetta tutti coloro che le stanno attorno, indipendente dal colore della pelle, dal loro credo o dalla posizione sociale.”
Aveva sentito ripetere spesso dal padre quella frase, e la paura si trasformò in irritazione.
“Accidenti, papà! Non sono più una bambina!” aveva replicato, pavoneggiandosi. “Quel tipo mi ha trattato con insolenza. E io non tollero che qualcuno mi manchi di rispetto!”
“Hai fatto due affermazioni inesatte”, aveva notato il generale, apparentemente calmo. “Se ti ha mancato di rispetto, è probabile che l’abbia fatto per rispondere a una tua scortesia. Quanto al fatto che non sei più una bambina, ti sbagli di grosso.” Si era alzato dalla sedia dietro la scrivania, ergendosi in tutta la sua altezza. Le era parso immenso, come una quercia o una montagna. “Un’ultima cosa. Le signore non imprecano, e tu diventerai una signora, con le buone o con le cattive.”
L’aveva afferrata per il polso e lei aveva capito all'improvviso quello che stava per accadere. L’ultima volta che era successo, aveva quattordici anni ed era stata certa che non si sarebbe più ripetuto. Si era divincolata per liberarsi, ma Sean era troppo forte per lei. L’aveva sollevata e, tenendola alla vita con un braccio, l’aveva trasportata al divano di pelle. Lei si era lasciata sfuggire uno strillo di paura e di vergogna, che si era trasformato in un grido d’angoscia quando il padre se l’era messa sulle ginocchia, sollevandole la gonna sopra la testa.
Quel giorno Storm indossava un paio di mutandoni di crêpe de Chine azzurro con le roselline ricamate in corrispondenza del bersaglio. Il palmo calloso e duro si era abbattuto sulla doppia protuberanza soda con un colpo secco. Sean aveva smesso solo quando i calci e le urla si erano trasformati in singhiozzi strazianti. Poi le aveva riabbassato la gonna e le aveva detto tranquillamente: “Ti manderei a chiedergli scusa, se sapessi dove trovarlo”.
Ricordando la minaccia, Storm si sentì cogliere dal panico. Sapeva che suo padre era capace di mantenere la promessa anche se era passato molto tempo, e fu quasi tentata di precipitarsi fuori dalla stanza.

Nessun commento:

Posta un commento