“Possiamo provare l’auto adesso, papà?”
Mark si precipitò ad aprire la portiera posteriore per farla
sedere, ma la ragazza gli annunciò: “Guido io”, e attese che lui ripetesse
l’operazione con la portiera corrispondente al posto di guida.
“Quello è il pulsante dell’accensione”, le spiegò Mark.
“Grazie, lo so. Si sieda dietro per favore.”
Guidava come un uomo, veloce e sicura. Stringeva le curve e
usava le marce per frenare, facendo il “punta-tacco” con piedi che parevano
danzare sui pedali e sposando la leva del cambio con rapidità e decisione.
Accanto a lei sedeva il generale. Visto da dietro, con la
schiena eretta, sembrava molto più giovane.
“Vai troppo veloce”, ruggì, attenuando il tono feroce con un
sorriso da innamorato.
“E tu sei un vecchio brontolone”, ribatté la ragazza,
scoppiando di nuovo a ridere. L’eco argentina della sua risata sembrava un
canto.
“Non ti ho sculacciata abbastanza quando eri piccola.”
“Bè, ora è troppo tardi”, replicò lei, sfiorandogli la
guancia con la mano libera.
“Non ne sarei tanto sicura, se fossi in te”.
nel secondo passaggio invece vediamo che le parole di poco prima non erano solo minacce vuote, ma avevano un chiaro tono di avviso. quindi gustiamoci la scena.
Si era spaventata, come le capitava sempre quando lui si
arrabbiava, ma senza preoccuparsi eccessivamente. Erano passati quasi dieci
anni dall'ultima volta che aveva alzato le mani su di lei. “Una vera signora
rispetta tutti coloro che le stanno attorno, indipendente dal colore della
pelle, dal loro credo o dalla posizione sociale.”
Aveva sentito ripetere spesso dal padre quella frase, e la paura
si trasformò in irritazione.
“Accidenti, papà! Non sono più una bambina!” aveva
replicato, pavoneggiandosi. “Quel tipo mi ha trattato con insolenza. E io non
tollero che qualcuno mi manchi di rispetto!”
“Hai fatto due affermazioni inesatte”, aveva notato il
generale, apparentemente calmo. “Se ti ha mancato di rispetto, è probabile che
l’abbia fatto per rispondere a una tua scortesia. Quanto al fatto che non sei
più una bambina, ti sbagli di grosso.” Si era alzato dalla sedia dietro la
scrivania, ergendosi in tutta la sua altezza. Le era parso immenso, come una
quercia o una montagna. “Un’ultima cosa. Le signore non imprecano, e tu
diventerai una signora, con le buone o con le cattive.”
L’aveva afferrata per il polso e lei aveva capito all'improvviso quello che stava per accadere. L’ultima volta che era successo,
aveva quattordici anni ed era stata certa che non si sarebbe più ripetuto. Si
era divincolata per liberarsi, ma Sean era troppo forte per lei. L’aveva
sollevata e, tenendola alla vita con un braccio, l’aveva trasportata al divano
di pelle. Lei si era lasciata sfuggire uno strillo di paura e di vergogna, che
si era trasformato in un grido d’angoscia quando il padre se l’era messa sulle
ginocchia, sollevandole la gonna sopra la testa.
Quel giorno Storm indossava un paio di mutandoni di crêpe de Chine azzurro con le roselline
ricamate in corrispondenza del bersaglio. Il palmo calloso e duro si era
abbattuto sulla doppia protuberanza soda con un colpo secco. Sean aveva smesso
solo quando i calci e le urla si erano trasformati in singhiozzi strazianti. Poi
le aveva riabbassato la gonna e le aveva detto tranquillamente: “Ti manderei a
chiedergli scusa, se sapessi dove trovarlo”.
Ricordando la minaccia, Storm si sentì cogliere dal panico.
Sapeva che suo padre era capace di mantenere la promessa anche se era passato
molto tempo, e fu quasi tentata di precipitarsi fuori dalla stanza.
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